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«Segreto o Informazione?» Paradossi e contraddizioni della comunicazione sull' intelligence nelle Democrazie Occidentali

23:40 24.07.2013 • Prof. Igor PELLICCIARI, Università del Salento (Italia) - Corrispondente di International Affairs per l'Unione Europea, l'Italia ed i Balcani Occidentali.

La vicenda del dirottamento forzato dell’aereo del presidente boliviano Morales partito da Mosca e costretto ad atterrare a Vienna perchè sospettato di avere a bordo la spia fuggitiva Snowden – dopo il divieto di sorvolare lo spazio aereo di Francia, Italia, Spagna e Portogallo – meriterebbe una riflessione più a freddo ma anche più approfondita di quanto sia stato stato fatto finora sui principali media occidentali.

Essi hanno infatti o minimizzato l’avvenuto dando ad esso poco risalto oppure si sono soffermati sulle conseguenze e sullo sdegno che l’episodio ha creato nell’America Latina, senza però entrare nella descrizione dettagliata dell’incidente diplomatico di per sè, uno dei più seri e spettacolari degli ultimi anni.

Già di suo questa circostanza dovrebbe essere sufficiente per suscitare interesse presso gli osservatori di questioni internazionali. Ed invece, il risalto complessivo alla notizia è stato quasi nullo e ancora meno ai commenti sull’avvenuto.

Se l’episodio avesse avuto come protagonista attivo la Russia, cè da scommettere che avrebbe riempito di titoli le prime pagine dei media occidentali per settimane se non per mesi.

Di sicuro questo imbrazzato silenzio è dovuto anche al pessimo timing in cui cade l’episodio.

Ovvero, nel momento in cui – proprio grazie a Snowden – si viene a sapere con certezza che gli USA hanno sistematicamente spiato da decenni i loro alleati occidentali. A questa notizia – che è stata esplosiva non tanto perchè non si sospettasse anche prima che ciò avvenisse – quanto per il fatto che ora se ne è avuta evidente prova e certezza – le reazioni dei rappresentanti istituzionali europei sono state a loro volta contradditorie e confuse, in evidente difficoltà a giustificare quanto avvenuto in primo luogo davanti alle proprie opinioni pubbliche.

A quelle stesse opinioni pubbliche davanti alle quali per anni si è promossa una idea di sovranità ed indipendenza nazionale, al di sopra di tutto.

Negli anni passati infatti la chiave di lettura proposta dai principali paesi occidentali e rilanciata dai media - anche quelli autorevoli anglosassoni- si è richiamata allo schema classico che se vi era un azione di spionaggio scoperta in casa loro – questa era riconducibile in un modo o nell’altro alla Russia, eterna rivale nelle operazioni di intelligence.

L’idea che la Russia sia sempre stata e sia a tutt’oggi la madre di tutte le spie  - in particolare di quelle “cattive” - è un imagine dura a morire.

Ne è prova il fatto che gran parte degli stereotipi negativi rivolti a Mosca in questi anni recenti sono in qualche modo riconducibili o collegati al fatto che il suo attuale Presidente provenga dai ranghi dell’intelligence.

Ebbene - con le rivelazioni di Snowden -le democrazie occidentali si ritrovano per la seconda volta solo pochi mesi dopo le rivelazioni di Wikileaks – a dovere nuovamente giustificare loro atteggiamenti che sono apertamente ispirati ad assenza di trasparenza ed alla sospensione delle regole del diritto internazionale.

In altre parole a dovere apertamente contraddire principi di base dello stato liberal democratico, capisaldi su cui per decenni essi stessi hanno promosso e teorizzato la differenza in positivo dei loro sistemi politici rispetto ad altri accusati di essere meno democratici come appunto, in primis, il rivale Russo.

La informazione su Snowden e Wikileaks ha mandato in tilt la retorica del “noi” contro “loro” – in cui i “nostri” scendevano sul campo dell’intelligence solo in funzione di controspionaggio in risposta alle invasioni di campo degli avversari.

Le minaccie di entrare a Londra nell’ambasciata di uno Stato sovrano come l’Equador per prendere il fuggitivo Assange o il dirottare l’aereo di Morales sono violazioni palesi e macroscopiche e infliggono colpi micidiali alla credibilità delle liberal-democrazie, inflitti per lo più da coloro stessi che fino ad oggi si sono presentati come i primi tutori della essenza della democrazia rappresentativa applicata.

Sono contraddizioni che lasciano i cittadini dei paesi occidentali piuttosto impreparati e spaesati. Peraltro in un momento in cui la crisi di legittimità delle Democrazie occidentali è messa a dura prova per la dilagante crisi economica.

La soluzione più semplice è di trattare poco e male questi argomenti, nell’attesa che un pubblico distratto dalla “informazione-ogni-15 minuti” se ne sia dimenticato.

Il fatto poi che su questi stessi media distratti questi episodi raccolgano meno risalto ad esempio della più modesta vicenda delle Pussy Riot – (in cui peraltro i risvolti di illegalità dell’azione dello Stato sono minori e comunque piuttosto discutibili) dimostra in aggiunta che nel momento dell’imbarazzo, l’Occidente si arrocca nei vecchi schemi, cadendo nella trappola retorica della critica contro gli altri.

In realtà è molto più grave mettere in dubbio la extra-territorialità di una Ambasciata (peraltro per bocca del Ministro degli Affari esteri del paese considerato la culla del parlamentarismo moderno) cosi come la inviolabilità di un aereo presidenziale.  Sono atti cosi lontani alla cultura dello Stato di Diritto da rendere impossibile la loro giustificazione. Fanno addirittura rimpiangere per la loro volgarità l’epoca della Preventive Diplomacy e Humanitarian unilateral intervention di BushCheney, che almeno tentava di giustificare con un elegante gioco di parole le stretegie di invasione militare dell’epoca.

A chi obietta che la funzione di intelligence fa parte della forma Stato contemporanea – e che essa deve inevitabilmente mantenere una segretezza a scapito di altri diritti, tra cui quello dell’informazione – viene da rispondere che ciò è vero ma che diventa legittimo se viene dichiarato chiaramente dall’inizio.

Più sospetta, se non controproducente, è questa considerazione fatta a posteriori, dopo che i vari episodi scomodi sono stati resi pubblici involontariamente, contraddicendo in un colpo solo decenni di retoriche ispirate a valori che sembrano ora di cartone.

La corsa ai ripari dai danni provocati da queste rivelazioni provoca danni di imagine anche superiori.

Si innesca un circolo vizioso, dove la persecuzione di Assange e Snowden tradisce tecniche al limite e oltre lo stato di diritto, forse più delle loro stesse rivelazioni.

E’ un’atteggiamento istituzionalmente ipocrita che alla fine aggrava il giudizio sulla coerenza della democazie e insinua il dubbio nei cittadini sulla corretezza dello Stato. Del “loro” Stato.

Decisamente più facile è per quegli Stati che - dal canto loro – non hanno mai negato nè l’importanza nè la circostanza di occuparsi dell’intelligence, nemmeno nei paesi che considerano a sè più vicini.

In altre parole, nessuno si scandalizzerebbe a scoprire che Mosca operi azioni di intelligence in paesi considerati ad essa molto vicini.

Infine, ancora più pericolosa è la argomentazione usata in Occidente che si appella alla eccezionalità del momento per giustificare la sospensionenegazione di alcuni diritti.

E’ un pò come la parabola della crisi di Cipro – dove centinaia di migliaia di Russi della emergente classe media – con i loro capitali in fuga dalla “instabile” madrepatria – hanno finito per vedersi confiscata parte consistente dei loro beni proprio nella Unione Europea. Ovvero in una realtà che mentre investe consistenti risorse per facilitare la promozione e consolidamento della democrazia in paesi in via di transizione (per inciso, anche in Russia) – poi si trova a negare uno dei diritti fondamentali della democrazia moderna, ovvero quello di proprietà.

Anche nel caso di Cipro, si è usata la eccezionalità della crisi per giustificare l’esproprio dei capitali.

Forse sarebbe il caso di ricordare che – di nuovo a differenza della Russia che ebbe una rivoluzione vera e propria nel 1917 – l’ascesa dei regimi autoritari in Europa nel novecento accadde senza rivoluzioni e all’interno di frameworks costituzionali che non vennero cancellati ne contraddetti ma semplicemente sospesi – sempre in nome della eccezionalità del momento vissuto.

Di eccezionalità in eccezione i sistemi politici occidentali rischiano di scivolare in quegli stereotipi negative che loro per primi hanno denunciato in passato presso i loro vicini, con la sospensione per primo del diritto all’informazione e diffusione di opinione critica.

Forse per tutti questi motivi, continueremo a leggere più delle vicende di tre ragazze fermate a cantare in una cattedrale a Mosca - che dei risvolti di un presidente dirottato e perquisito per 14 ore a Vienna.

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